Totò, il principe della risata, il più grande comico italiano

Totò, il principe della risata, il più grande comico italiano
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Totò, nome d’arte di Antonio De Curtis, figlio illegittimo del principe Giuseppe De Curtis e della giovane Anna Clemente, nasce a Napoli, nel famoso Rione Sanità, il 15 febbraio 1898 e muore a Roma il 15 aprile 1967, all’età di 69 anni.

Sono tante le curiosità riferite alla vita e alla carriera di Totò, attore teatrale e cinematografo, musicista, scrittore, poeta, paroliere, sceneggiatore,  fra cui la causa della sua morte.

Totò morì a causa di un infarto che mise fine a una lunga agonia. Alla fine degli anni Cinquanta, una broncopolmonite virale gli causa un corioretinite che lo rende cieco, e malgrado ciò continua a recitare.

Anche dopo il superamento della malattia non riesce a recuperare completamente la vista.

Il fascino di Totò è il forte carisma che esercita sugli spettatori che non soltanto ridono, ma vengono trascinati in battute nonsenso e situazioni paradossali deliranti.

Ancora oggi i film e le performance del grande artista napoletano suscitano emozioni e risate.

Totò viene considerato il comico più popolare di tutti i tempi, ma nonostante una carriera ricca di successi, gran parte della critica cinematografica l’ha rivalutato solo dopo la sua morte.

Lui stesso disse che in Italia per essere riconosciuti in qualcosa bisogna morire.

Registrato all’anagrafe con il cognome materno, alla sua educazione provvede la madre, che gli darà il nomignolo di Totò. Suo padre, Giuseppe De Curtis, agente teatrale di stirpe nobile (marchese) sposerà Anna Clemente nel 1921, riconoscendo il figlio e si trasferiranno da Napoli a Roma.

Dopo  le scuole elementari, Totò viene iscritto al collegio Cimino, dove un suo precettore, tirando di boxe, gli causa quella deviazione del setto nasale che col tempo diverrà un tratto caratteristico della sua maschera. All’età di 14 anni, Totò comincia a recitare in piccoli teatri di periferia, imitando il macchiettista Gustavo De Marco, comico fantasista.                

Nel 1915, con lo scoppio della grande guerra si arruola volontario, e riesce ad evitare la prima linea fingendosi epilettico, pronunciando ad un graduato il celebre motto: <Siamo uomini o caporali?> che sarà la sua filosofia di vita.

Nel 1918, a fine conflitto,  riprende a recitare con un repertorio di imitazioni.

A Roma, nel 1922, ottiene una scrittura al Teatro Ambra e al Teatro Umberto, interpretando il personaggio che manterrà per sempre: una figura di marionetta disarticolata, in bombetta, tight fuori misura, una camicia lisa col colletto basso, una stringa di scarpe per cravatta, pantaloni a salta fossi, comuni scarpe basse e calze colorate.

Bizzarro, paradossale, con il volto asimmetrico, sbilenco e deformato, il corpo disarticolato, svitabile, piegabile a ogni deformazione, recitava acrobazie verbali, nonsense, parodiando il linguaggio aulico della borghesia avvocatesca dell’epoca, raggiungendo una sua unica comicità.

A Napoli, Totò recita accanto a Titina de Filippo, nella Rivista Messalina ed ottiene grande successo. Alle vecchie macchiette si aggiunsero in repertorio L’Adamo di Monna Eva (1929), il Cajo Silio di Messalina (1929), Totò Charlot per amore (1930), Il prestigiatore (1931), Il finto pazzo di Fra moglie e marito la suocera e il dito, La mummia vivente, Il Dongiovanni, L’ultimo Tarzan (lui stesso autore) che nel 1939 concluse la fertile stagione degli anni Trenta.

Nel 1931, Totò conosce Diana Bandini, a Firenze per lo spettacolo Follie d’estate. Diana ha soltanto 15 anni ed in compagnia della sorella Elena e del cognato Raniero di Censo. Totò si innamora perdutamente di Diana e la vuole sposare. Dal loro amore nasce la figlia Liliana (1933-2022).  Totò e Diana si sposano nel 1935, ma pur divorziando quattro anni dopo in Ungheria, vivranno insieme fino al 1950.

Nel 1937 Totò inizia a interpretare ruoli nel cinema: Fermo con le mani, per la regia di Gero Zambuto e nel 1939 Animali pazzi per la regia di Carlo Ludovico Bragaglia. E ancora altri, fino al 1967,  per circa un centinaio di film. Fra i riconoscimenti ottenuti: la Maschera d’argento (nel 1947), cui fa seguito nel 1951 il Nastro d’argento per l’interpretazione nel film Guardie e ladri di Steno e Monicelli. Totò ha scritto anche diverse canzoni, fra cui la celeberrima Malafemmena.

Nel 1952 Totò si innamora di Franca Faldini (1931-2016, attrice, giornalista e scrittrice. Dalla loro unione nasce un bambino che purtroppo muore poche ore dopo, ma la loro unione rimarrà salda fino alla morte di lui.

Nel 1956 Totò torna al teatro con la rivista di Nelli e Mangini A prescindere. Pubblica anche una raccolta di poesie A livella, facendo seguito alla biografia Siamo uomini o caporali? Di alcuni anni prima.

Nel 1966 il sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici gli assegna il secondo Nastro d’argento per l’interpretazione del film Uccellacci e uccellini, di Pier Paolo Pasolini.

Il regista affermò di aver scelto Totò come protagonista poiché riteneva che la sua maschera rappresentasse in modo esemplare i due caratteri tipici dei personaggi fiabeschi: la stravaganza e l’umanità. Totò definì Pasolini un uomo intelligente e pieno di fantasia. Totò, grande improvvisatore, in questo film fu costretto a rispettare le battute del copione e le indicazioni del regista.

Per Uccellacci e uccellini Totò ricevette anche una menzione speciale al Festival di Cannes.

Ormai quasi cieco, nel 1967 partecipa al film, composto da sei episodi con diversi registi, Capriccio all’italiana, negli episodi: Il mostro, diretto da Steno e Che cosa sono le nuvole, diretto da Pier Paolo Pasolini.

Il 14 aprile interrompe la lavorazione e nella notte di sabato 15 aprile subisce un gravissimo infarto.

Il 15 aprile 1967, intorno alle tre e mezzo del mattino, dopo un susseguirsi di vari attacchi cardiaci, Totò si spegne. Alle 11,20 del 17 Aprile 1967 la salma è trasportata nella chiesa di Sant’Eugenio in Viale delle Belle Arti. Sulla bara, la bombetta con cui aveva esordito e un garofano rosso.

Alle 16,30 la sua salma giunge a Napoli accolta, già all’uscita dell’autostrada e alla Basilica del Carmine, da una folla enorme.

Viene sepolto nella cappella De Curtis al Pianto, nel cimitero sulle alture di Napoli, in località Capodichino.

Di Judith Maffeis Sala

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