Leviatano. Studio sull’incompetenza umana

La sfida del “Leviatano” di Alessandro De Feo, in scena al Teatro Basilica di Roma, è dar rilievo a un caso di cronaca assurdo, avvenuto nel 1995 negli Stati Uniti a Pittsburgh, grazie alla rilettura data da due ricercatori scientifici che elaborano una teoria generata dallo stesso fatto.
Il protagonista della storia McArthur Wheeler si macchia di rapina a due banche le quali egli inquadra come il mostro “Leviatano” della società attuale; quindi si apre una caccia all’uomo guidata dal fervente e ammiccante detective Freeman.
Ciò che sorprende e guadagna la fama in tv a Wheeler è la modalità paradossale del suo reato che rappresenta una metafora della più grande stupidità umana.
La storia si interseca con una seconda vicenda, quella dei due studiosi Dunning e Kruger della Cornell University che partendo dall’esempio di Wheeler elaborano e pubblicano l’interessante teoria sperimentale dell’incompetenza e stupidità. Di mezzo l’abuso di un capo che si appropria del lavoro e delle teorie del sottoposto.
La narrazione molto dinamica a mò di servizio televisivo con zoom nelle vicende e sui vari personaggi, si muove principalmente con ironia e simpatia.
La scelta registica è di rappresentare tutte le vicende come in una serie di “scatole cinesi”, che permettono di ingrandire i personaggi e i loro caratteri e motivazioni.
Gli attori stessi interloquiscono e strizzano l’occhio al pubblico in una specie di metateatro e poi si calano in un gruppo di documentaristi che narrano la storia e così via.
La cronaca è positivamente romanzata e viene regalato al pubblico un finale agrodolce che esula dalla realtà e prende in giro il sistema sociale da un lato e dall’altro ci porta ad amare con bonarietà il protagonista per quanto esso sia sciocco e geniale.
Recensione di Demian Aprea