Il Soccombente, non siamo essere umani ma pianoforti

Il Soccombente, non siamo essere umani ma pianoforti
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“Il soccombente” in scena al teatro Vascello è uno spettacolo di Federico Tiezzi incentrato sulla figura dell’eccezionale pianista americano Glenn Gould.

Lo sguardo narrativo è del “soccombente“, pianista ammiratore di Gould, che dialoga e si lamenta con Wertheimer, il terzo elemento del trio di amici conosciutisi alle lezioni di Horowitz.

Gli attori si muovono in questo spazio scenico ovattato quasi irreale e sviscerano tutte e tre le figure nel dibattito; si tratta di un insieme di monologhi intellettuali dei due personaggi, che si intervallano nel ricostruire i fatti del passato e la fama del pianista “mostruoso”.

I temi sono la vocazione artistica, l’arte, il virtuosismo, la critica, ma soprattutto il talento, caratteristica che separa a loro avviso Gould da loro. Un talento così gigantesco che li porta a sentirsi incapaci, falliti e a mollare la carriera con ripugnanza, fino a morirne.

Anche il percorso di Gould, definito semplice e spietato, non sarà lineare in quanto come avviene per molti geni, egli inspiegabilmente rinuncerà al suo pubblico dopo poco tempo, arrivando a detestarlo nonostante il successo.

Si concentrerà in una vita di ascesi pianistica dove non son concesse inesattezze, alla ricerca della perfezione con le sue variazioni Goldberg, in studi e registrazioni.

Anche la scenografia, un pianoforte a coda intersecato con una grande luce led a forma di triangolo con la punta in su, richiama questa spinta verso l’alta quota artistica, verso una solitudine dell’artista nella sua divina creazione e nel distacco dalla gente e dalla loro vita comune.

Interessante questa incursione nel mondo della genialità e degli artisti dalla vocazione sublime, incomprensibile ma affascinante per la gente comune che desidera sbirciare dietro questo velo: la follia creativa, la mente scomposta, lo studio forsennato, le scelte imprevedibili, assurde, l’interesse per l’infelicità sono i colori della sua tavolozza.

Wertheimer arriva anche lui ad azioni estreme nell’arte, e sul piano familiare crea con la sorella un rapporto particolare di clausura e simbiosi. Ella sul palco rappresenta il terzo personaggio e si diletta in scena con il canto, fino a scivolare sinuosamente dentro la coda del pianoforte come una nota musicale suadente.

In conclusione accanto a librerie che racchiudono dentro ai libri i  filosofi, imprigionati in celle immaginarie all’infinito, come avrebbe detto Wertheimer, c’è il pianoforte di Glenn Gould, l’unico “degno”, che si rinchiude a “vivere” con Bach fino alla morte.

Recensione di Demian Aprea

www.ildogville.it 

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