Peng, un bimbo superdotato

Peng, un bimbo superdotato
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“Peng” è la storia della vita di un essere umano, dalla pancia della madre fino all’infanzia, un bimbo precoce con delle caratteristiche speciali, quasi un super eroe nevrotico e sarcastico.

L’idea molto originale e interessante con cui si apre lo spettacolo è di farci rivivere il momento sensoriale di un bimbo, che qui appare già consapevole di se stesso, quand’è ancora nell’utero della madre.

La vicenda si articola all’interno della famiglia di Peng che, come potrebbe succedere paradossalmente in una realtà prossima futura, è seguita dai media 24 ore su 24, una specie di “Truman Show” al negativo, ed è stimolata da un regista televisivo, con continue interviste e servizi.

L’intento è di farli vivere a scopo di show business, pubblicitario ed economico, fare scalpore, apparire impeccabili di fronte al pubblico, un modello sociale, quasi delle star nella vita quotidiana. Il tutto viene realizzato in scena registicamente con schermi video e riprese in diretta.

La riflessione è sull’educazione lasciva e edulcorata di questa famiglia che dapprima esaltata dalle presunte doti eccezionali del figlio ben presto ne subisce il sopravvento e ne perde il controllo, in un’escalation di follie social e disumane, egocentrismo ed esibizionismo, violenze e atti sadici talvolta strumentalizzati per fare scoop.

Si ha così una realtà distorta dal web e nevrotica per i bambini in fase di crescita, concretizzata qui nella trasformazione del protagonista in un despota capace di deliri d’onnipotenza decadenti e dilettanteschi con conseguenze nefaste.

Lo spettacolo parla quindi della deriva di valori e umanità a cui tende in alcuni casi la società d’oggi, facilmente manipolata da tv e contenuti social.

L’effetto dello strapotere di questi mezzi multimediali viene portato all’estremo con sarcasmo e comicità nera. Tuttavia la violenza perpetrata in modo assurdo dai vari personaggi è devastante, viene dichiarata, urlata, agita senza limiti, probabilmente in maniera eccessiva da ricordare vagamente l’effetto di“Salò” di Pasolini.

Resta però il dubbio se sia necessario arrivare a tanto per portare dei messaggi legati alla violenza sulle donne, agli abusi, contro gli stupri. Si passa dalla comicità all’impressione per la causticità delle azioni, il pubblico, costantemente colpito da atti scenici estremi, deve provare quasi l’effetto di assistere al male dal vivo per redimersi, fino a sentire disgusto e sofferenza. Che non sia anche questa una forma di violenza nei suoi confronti?

Nel finale un veemente attacco al genere maschile, un’accusa del “testosterone al potere” del mondo.

Gli attori son sempre credibili, potenti ed efficaci nell’azione, la regia totalmente originale lavora verso un teatro contemporaneo con linguaggi anche sperimentali, con grande chiarezza e il gusto della provocazione che evita moralismi e sentimentalismi.

Lo spettacolo con la regia di Giacomo Bisordi è andato in scena al teatro Vascello di Roma fino al 12 marzo.

Recensione di Demian Aprea

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