Il Gabbiano, commedia degli amori scambiati

La prima tappa della trilogia del “Progetto Checov” diretta da Leonardo Lidi ed in scena al Teatro Vascello di Roma ci racconta “Il gabbiano” di Anton Cechov con poesia e delicatezza, misti a sorriso.
La messinscena è semplice e recitata in modo naturalistico, quasi cinematografico come vorrebbe lo stesso autore russo; eppure scandaglia con precisione i rapporti familiari e amorosi insoddisfatti di questi personaggi emotivi e inetti della Russia ottocentesca.
Si contrappongono due generi di figure il “nuovo” e il “vecchio”, il fresco, giovanile e il posato, la città che mai si vede ma viene vagheggiata e immaginata come “svolta di vita” e aspirazione e dall’altro lato la campagna ripetitiva e assonnata, dove si svolge la pièce.
In scena si fa metateatro, emerge il contrasto tra forme di pensiero e di rappresentazione, quelle obsolete dell’attrice “affermata” Arkadina e quelle aspirate e declamate come nuove dal figlio scrittore Konstantin Gavrilovic, una contrapposizione di personaggi e confronti verbali la loro che puntualmente cita l’”Amleto” di Shakespeare tra le righe.
Si parla poi di necessità in un’opera d’arte, di modalità e motivazioni alla scrittura, anche grazie all’altro coprotagonista e autore affermato Trigorin; altri temi sono gli scopi artistici la vocazione, il successo, le generazioni diverse.
Un’opera ricca di riflessioni e spunti e completa, ben resa in modo fresco e delicato ma al tempo stesso originale e talvolta comico dalla regia di Lidi e dalla leggerezza dei suoi attori.
E’ la commedia degli amori senza speranza, sbagliati, non corrisposti, in cui chi ama raramente ha la forza di portare o tenere a sé l’amato o il compagno desiderato e si accontenta di briciole di tempo assieme, a volte di una seconda scelta insapore, o si uccide.
Si rispecchia una certa inettitudine della società russa dell’epoca nelle relazioni. I personaggi qui si confessano costantemente, la loro incapacità, il dolore; traspare dalla prova attoriale una grande vulnerabilità, in particolare in Nina, ma anche in Kostja, con note ironiche invece per Masha, Medvedenko e la stessa Arkadina.
Suggestiva è la prova di Massimiliano Speziani, che interpreta Trigorin rasentando un “grottesco con brio”, in cui spiccano i tratti di un feroce e fragile interesse personale e amor proprio conditi da cinismo disilluso.
La parabola della vicenda passa da una speranza e aspirazioni iniziali e brillantezza della prima parte ad una grande disillusione e rassegnazione nella seconda, dovuta anche allo scorrere del tempo che addormenta e appassisce le cose, a piccoli successi accompagnati dall’ombra di mediocrità e fallimento.
La fine è impersonata dal gabbiano. Un simbolo di libertà e poesia sopra il lago, che rappresenta a turno alcuni personaggi e tuttavia presagisce un finale poetico e decadente.
Recensione di Demian Aprea