Hedda. Gabler al Teatro Studio Melato di Milano

Non una riscrittura, ma una nuova drammaturgia che si affianca all’originale per interrogarlo, per esploralo, per indagare il cortocircuito tra desiderio e regola, vocazione e dovere. HEDDA. GABLER. come una pistola carica, con scene da Hedda Gabler, è firmato da Liv Ferracchiati ed è la sua prima regia in una produzione del Piccolo, del quale dalla scorsa stagione è artista associato.
Lo spettacolo debutta in prima assoluta giovedì 1° dicembre e replica, al Teatro Studio Melato, fino al 22 dicembre. Intorno allo spettacolo, il calendario di incontri e approfondimenti di Oltre la Scena.
Quella che andrà in scena non è una regia di Hedda Gabler di Ibsen ma una sorta di scrittura scenica che si affianca al testo originale, ritradotto per l’occasione da Liv Ferracchiati insieme ad Andrea Meregalli.
Non una regia quindi, ma nemmeno una riscrittura, piuttosto un affiancamento di un nuovo materiale che esplora l’originale. Dell’opera di Ibsen, il regista illumina in particolare, due nuclei di attenzione e attrazione. Il primo, la tensione tra la fascinazione per ciò che non rientra nella norma e l’ossequio alle convenzioni. Il secondo, la sregolatezza, incarnata dal personaggio di Ejlert Løvborg, e il tentativo di dominarla attraverso l’arte.
«Ma tutti – commenta Ferracchiati – soccombono alla vita e non li salva nemmeno l’opera visionaria. L’autore sembra chiedersi quali siano, se ve ne sono, le condizioni per la felicità umana. E questi individui di fine Ottocento, incapaci di incidere, ci somigliano, sembriamo proprio noi, incastrati all’interno di odierni e ipotetici salotti borghesi, raramente in grado di assumerci delle responsabilità».
In una scena interamente di cartone, creata da Giuseppe Stellato, i cui ambienti si avvicinano e si allontanano dal pubblico, assecondando la schizofrenia tra verità e artificio, tra licenze dell’auto-finzione e aderenza al canone drammaturgico – una dialettica che si riflette anche nel raffinato e sottile gioco di commistioni tra elementi d’epoca e contemporanei che Gianluca Sbicca ha immaginato per i costumi –si muovono le attrici e gli attori: accanto a Petra Valentini, nei panni di Hedda Gabler, e allo stesso Liv Ferracchiati, in quelli di Ejlert Løvborg, (in ordine alfabetico) Francesco Alberici (Jørgen Tesman), Giulia Mazzarino (Irene),Renata Palminiello (Signorina Tesman), Alice Spisa (Signora Elvsted), Antonio Zavatteri (Giudice Brack). Le luci sono firmate da Emiliano Austeri, il suono è di Giacomo Agnifili (spallarossa).
Il corpus teatrale ibseniano è ad un tempo vertice della drammaturgia borghese e (nella prospettiva critica dominante) origine della dissoluzione epica del dramma moderno. È dedicata proprio al personalissimo tentativo di decodifica dell’inafferrabile produzione dell’autore norvegese il primo spettacolo a cui dà vita Liv Ferracchiati in qualità di artista associato presso il Piccolo Teatro di Milano. In particolare, in quella sorta di epos unitario che formano i drammi del maestro di Oslo, la ricerca di Ferracchiati si apre a una libera esplorazione di Hedda Gabler.
Il performer e regista coltiva coraggiosamente l’ambizione di coniugare in sintesi complessa la “poesia della scena” con una originale immersione nel testo, affrontato in stretto dialogo con il traduttore Andrea Meregalli e la dramaturg di scena Piera Mungiguerra. Suggestiva ibridazione di naturalismo e tragedia, Hedda Gabler nasconde sotto le parvenze borghesi una veemente mitologia terrigna, che la creazione di Ferracchiati intende consegnarci demistificando il feticcio del personaggio e portando avanti una riflessione sul mentirsi, sull’incapacità di accettare la propria vocazione.
L’interesse per i futuri orizzonti della scrittura per la scena, così come per i giovani talenti teatrali, vive dunque un nuovo capitolo nella storia recente del Piccolo: tutto ciò nella convinzione che, affinché un classico possa continuare a dirci “quel che ha da dire”, è necessario anche sfidare il suo effetto “intimidatorio”, non avendo timore di scoprire inediti e audaci sentieri. Claudio Longhi
Presentazione
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