Finzioni del Gruppo della Creta, un labirinto di illusioni e interpretazioni possibili

“Finzioni” del Gruppo della Creta, andato in scena al teatro Basilica di Roma, è uno spettacolo di ricerca molto ermetico e a tratti grottesco in cui gli attori sono funzioni e messaggeri di stati d’animo, di pensieri e di illusioni. Lo spettatore entra in un labirinto di segni da decifrare per scoprire la verità e per capire la narrazione che tuttavia scorre veloce e con grande dinamismo scenico.
C’è una riflessione sulle cose e sulla realtà come fa l’autore Louis Borges, da cui la compagnia ha preso ispirazione per questo lavoro, nei suoi racconti con l’uso di simbolismo a volte magico e in qualche modo metafisico.
Diversi sono i punti di vista dei personaggi e altrettante le possibili realtà che poi si riunificano quasi fossero parte della stessa persona, e dei suoi dubbi di interpretazione. Tali molteplicità si sdoppiano e assumono a volte forma corporea senza volto per assillare un personaggio in più riprese, tanto che a tratti ci sembra di trovarci in un sogno o incubo.
Assistiamo ad una costante scomposizione e rivalutazione dei fatti e del pensiero spesso illusori. Il tema della morte è centrale, viene vissuto anche in chiave ironica, la cui soluzione si cerca arbitrariamente in un deus ex machina rappresentato da una sorta di mago con la sua lotteria babilonica che tutto può realizzare, ma che ha un suo “costo” umano.
Nella prima parte il cellulare è strumento usato in più funzioni quali fare luce o immortalarsi ridicolmente per fissare un’immagine o un momento con richiamo all’abuso che se ne fa al giorno d’oggi.
Nella seconda parte lo spettacolo diventa ilare e diverte con la sua paradossalità sfiorando il teatro dell’assurdo.
Recensione di Demian Aprea