Dramma corale ne Il paradiso del pavone di Laura Bisturi

Dramma corale con pranzo di famiglia, in una giornata invernale, nell’appartamento fronte mare, è quanto ci mostra Il paradiso del pavone, il terzo lungometraggio di Laura Bisturi, una storia co-scritta dalla regista con Silvana Tamma.
La matriarca Nena (Dominique Sanda) chiama a raccolta la famiglia, ovvero i figli, consorti e nipotina, per festeggiare il suo compleanno. L’identificazione della famiglia, è quella della <famiglia allargata> a cominciare dalla stessa Nena, che da più di quarant’anni – per sua ammissione alla figlia Caterina (Maya Sansa) – ha un legame amoroso con la domestica Lucia (Maddalena Crippa) pur non essendo separata dal marito Umberto (Carlo Cerciello). Anzi, Nena stessa precisa che entrambi non vorrebbero mai vivere lontano l’uno dall’altra.
La regista Laura Bisturi ci presenta le altre realtà familiari distorte. Sulla strada per raggiungere l’appartamento di Nena viaggiano due automobili. Sulla prima c’è Vito (Leonardo Lidi), il figlio minore di Nena, con la sua compagna Adelina (Alba Rohrwacher), la figlioletta Alma (Carolina Michelangeli) e il loro pavone domestico Paco. Sull’altra automobile sono a bordo Caterina, la figlia maggiore, accompagnata dall’ex marito Manfredi (Fabrizio Ferracane) e da Joana (Tihana Lazovic), la nuova compagna di lui, alla quale propone di rimanere in auto ad attenderlo in quanto si assenterà per pochissimo tempo. Caterina chiarisce all’ex marito che non ha ancora comunicato della loro separazione e che sarebbe utile attendere ad annunciarlo. Successivamente, arriverà la giovane cugina Isabella (Yile Vianello).
L’atmosfera è di disagio, malgrado i tentativi di conversazione confidenziale, disagio che divamperà quando il pavone Paco incomberà in un incidente che si sarebbe potuto evitare.
La regista Laura Bisturi spiega la descrizione dei fatti e dei personaggi come un invito <a riflettere sulla verità dei propri sentimenti e sul senso profondo di ciò che resta e di ciò che invece scompare per sempre> e parrebbe utilizzare la presenza del pavone quale personaggio simbolico, bello e vanitoso, ma incapace di volare se non per brevissimi tratti.
Dubitiamo che lo spettatore in 89 minuti di spettacolo giunga a tale considerazione. Il cast è composto da validi interpreti, ma non scatta l’empatia verso i personaggi, i dialoghi non suscitano il pathos necessario e diversi eventi paiono poco credibili. Il film spazia da un iperrealismo dei dettagli alla dimensione quasi surreale della narrazione.
Si avverte un malessere generico, l’annunciato pranzo non si farà, i personaggi vengono filmati tutti insieme a tavola per pochi minuti, ma poi sarà soltanto un chiacchiericcio sulle misere personali vicende, che celano fin troppe verità scomode. Ci sono una serie di riferimenti ad altre pellicole, un déja-vu di sofferte condizioni psicologiche. Nel film la musica è riservata ai momenti salienti, quelli di cambiamento nelle dinamiche dei personaggi. La regia si affida ai gesti, agli sguardi, ai baci di Nena a Lucia, ma conferendo alle scene troppa teatralità che cozza con il resto della narrazione.
Recensione di Judith Maffeis Sala