Pigs di Raquel Silva, una donna alla ricerca di un nuovo equilibrio

Pigs di Raquel Silva, una donna alla ricerca di un nuovo equilibrio
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PIGS di Raquel Silva, in scena al Teatro India di Roma fino all’8 Maggio, è un’opera che lavora per immagini e simbologie la vicenda di una donna in crisi con sé stessa e con il mondo esterno.

Il contesto è la crisi economica decennale iniziata nel 2008 che ha devastato in particolare paesi come Portogallo, Italia, Grecia e Spagna (PIGS), ma in scena ciò viene rappresentato soprattutto molto interiormente grazie all’uso di un teatro di figura fatto di gesti minuziosi delle attrici-esecutrici che muovono oggetti, mani, volto e altro in maniera sintetica e dettagliata. L’atmosfera onirica e sospesa è ricreata anche con luci basse e introspettive e musica minimalista, atmosferica, spaziale a volte ipnotica che accompagna lo svolgimento e ne segna il tempo.

La voce e il pensiero della donna vengono soprattutto riportati da una narratrice al microfono che compare dal buio per sottolineare gli stati di caduta e spaesamento della protagonista e alcuni eventi sommari che ne caratterizzano la vita e i rapporti con l’esterno.

Un fratello dedito alla ricerca della ricchezza in un mondo di difficoltà, in contrasto con lei povera che alla ricerca di un’identità si pone domande esistenziali costruite materialmente dalle attrici attraverso dei parallelepipedi di lettere incastonate che magicamente poi si spostano e formano altre parole.

La protagonista viene quindi mossa nello spazio sempre con la delicatezza e insicurezza che la contraddistingue attraverso la sineddoche dei vestiti e scarpe che la rappresentano.

La scena viene così costruita e trasformata continuamente con oggetti ed elementi con doppia faccia o funzione, e che ne contengono altri, trasformazione che potrebbe toccare anche la donna, come suggerisce il maialino, una sorta di coscienza che compare ogni tanto a spronarla a reagire alla crisi intima ed esterna, a cambiare, personaggio che ci ricorda un po’ il grillo di pinocchio o ancor più l’armadillo di “strappare lungo i bordi” di zero calcare.

La messainscena è pervasa di delicatezza e poesia, una sorta di ipnosi bella e danzante che ben rappresenta questo limbo di paura e impotenza a reagire, di perdita delle certezze letteralmente disciolte in un aquario assieme alla propria maschera, alla visione di sé che si aveva prima.

La donna vive in costante autunno come dice la narratrice e i suoi pezzi del corpo lentamente scendono a terra come foglie di carta che vengono poi spazzate dando l’impressione che sia tutto finito, dello svanire nel nulla.

Ci sarà un nuovo inizio? Due bandiere sventolano speranza. Se nella prima immagine la donna distesa era incartapecorita all’interno di un baco, nell’ultima immagine la donna si accoccola libera su di una mano gigante in scena come per non pensare piu’, dormire, forse sognare… o forse rinascere.

Recensione di Demian Aprea

www.teatrodiroma.net/doc/3170/teatro-india

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