PETER BROOK. Il regista del gesto e dello spazio

Peter Stephen Brook, regista teatrale e cinematografico inglese (Londra 21 marzo 1925), ha compiuto novantasei anni ed è tra i più grandi registi teatrali viventi. Nel teatro di Brook più che la parola è il movimento che <rende visibile l’invisibile>, come ha affermato lui stesso. < Per arrivare al cuore delle cose – afferma Peter Brook – devi creare il vuoto intorno alle cose, scoprirle nude. Il teatro non ha bisogno di scenografie grandiose, abiti di scena e macchine spettacolari, ma solo di spazio vuoto e di attori che vivono quello spazio, fino in fondo, con tutto il loro corpo. E’ l’energia del corpo ad esprimere i concetti, l’esattezza mimetica del corpo racconta. Il teatro è lo specchio della società, e lo specchio non ha bisogno di cornici dorate.>
Per Peter Brook tre parole danno vita all’evento teatrale e sono: la ripetizione, le prove; la rappresentazione, ovvero la messa in scena; l’assistere, con riferimento al pubblico, in quanto l’attore non può fare tutto da solo, in quanto è necessaria una attenta, ma straniante, partecipazione del pubblico.

Nel 1968, Peter Brook scrive Il teatro e il suo spazio per teorizzare quattro momenti: “Il teatro mortale”, “Il teatro sacro”, “Il teatro rozzo” ed “il teatro immediato“. Questi costituiscono quattro significati diversi a cui Peter Brook attribuisce la parola “Teatro”.
<il teatro mortale> è noioso, un cattivo teatro, omologato, letargico, che si alimenta con la tradizione e con le convenzioni. Attento a perpetuare stilemi in agonia, essendo, questa tipologia, la sola che sappia elevare ciò che è pessimo agli altari del successo.
<Il teatro sacro> è reso visibile dal regista attraverso lo spazio scenico. Peter Brook fa riferimento ad Artaud, Brecht, Beckett, e, in particolare, a Grotowski, al suo lavoro rigoroso, intenso, ma anche all’ idea di teatro come comunità, dove si recita per esistere, e dove si esiste per recitare. Sono teorici e drammaturghi che cercano di recuperare il rito con la consapevolezza che i rituali autentici non esistano più. Peter Brook chiede agli spettatori se questo tipo di teatro soddisfa le loro aspettative.
<Il teatro ruvido>, detto anche <teatro rozzo>, è popolare e si caratterizza per mancanza di stile, essendo incapace di scegliere e selezionare. E’ la vocazione a rappresentare. Nel pensiero di Mejerchol’d e nella sua “bio-meccanica” la funzione è quella di divertire, suscitare le risate degli spettatori. Peter Brook lo definisce <vicino alla gente> perché incarna il ruolo sociale liberatorio tanto ricercato, attraverso la grossolanità che accomunano tutti.
Lo <spazio vuoto> è <rimuovere tutto ciò che non è strettamente necessario ed intensificare ciò che rimane>. Questo implica innanzitutto rimuovere la scenografia che toglie spazio all’immaginazione, il tutto si riduce all’individuazione di due elementi: il pubblico e lo spettatore. Peter Brook medita su come sia possibile raggiungere l’invisibile, oltre che la verità che, sul palcoscenico, è difficile da catturare perché in continuo movimento. Durante le prove, tutto può essere messo in discussione, essendo queste il mezzo per raggiungere l’evoluzione delle idee, che rendono il teatro migliore della vita. Attraverso il teatro è possibile mettere in scena quello che nella vita manca.
Peter Brook afferma che per riuscire in tale intento è necessario individuare e mettere insieme ogni possibile tipologia di carattere, del modo di recitare. Eduardo De Filippo diceva: <Nel teatro si vive sul serio quello che gli altri recitano male nella vita>.
Il padre di Peter, Simon Brook, nato in Lettonia, emigrò nel 1907 a Parigi per motivi politici, seguito da Ida Janson, la sua futura moglie. Entrambi si laurearono in Scienze alla Sorbona di Parigi. Si trasferirono a Liegi e poi a Londra, dove lavorarono per l’industria bellica. Presero la cittadinanza inglese ed ebbero due figli maschi, Alexis e Peter e li educarono ad una mentalità liberale e scientifica, con interessi culturali per letteratura, teatro e cinema. Simon aveva una grande passione per i viaggi e Peter ebbe modo di conoscere le principali capitali europee.
Peter Brook, dopo aver partecipato alla Scuola di Westminster Gresham’s School e Oxford, debutta alla regia nel 1945 al Birmingham Repertory Theatre, scoperto da Barry Jackson.
Peter Brook dirige il suo primo spettacolo teatrale e il suo primo film quando ancora era studente ad Oxford. Ha scelto spesso attori non professionisti e di diversa provenienza etnica. Inoltre, preferisce che l’azione si improvvisi sul set o sulla scena, non necessariamente fedele alla sceneggiatura, ma che prenda spunto da un soggetto che dia senso alla storia.
Esordisce nel cinema nel 1943 con Sentimental journey con attori non professionisti, reclutati nei pub, un film privo di dialoghi, con la voce di commento nel sonoro. Nel 1944-45 realizza cortometraggi didattici per l’esercito e contemporaneamente inizia un’intensa attività teatrale, cogliendo immediati successi. A 18 anni esegue la regia teatrale della tragica storia del Doctor Faust di Marlowe (1943). Doctor Faust narra il dramma dello studioso tedesco talmente avido di conoscenza da non accontentarsi del sapere accademico, della medicina e della teologia, così che si avventura nella magia nera. Gli appare il diavolo Mefistofele con il quale stipula un patto. Faustus avrà la conoscenza e i servizi del servo di Lucifero per 24 anni, dopo i quali Lucifero avrà la sua anima. Faustus è un mito nella storia del mondo occidentale ed ha continuato a ottenere grande interesse. Quest’opera ha influenzato alcuni dei maggiori drammaturghi del tempo fra cui W.Shakespeare.

Di W.Shakespeare, Brook esegue la regia di Pene d’amor perdute (1946), raffinata commedia cortese con bisticci, doppi sensi e allusioni incrociate: l’arte della conversazione arguta e galante. Nella carriera di Peter Brook spicca la regia di Titus Andronicus (1955), la tragedia violenta e sanguinosa, la prima di W.Shaespeare, con Laurence Olivier e Vivien Leigh. Poi, Re Lear (1962), con Paul Scofield. Marat/Sade (1964), La tempesta (1968), Sogno di una notte di mezza estate (1970), Antonio e Cleopatra (1978). Lavora in molte produzioni, in Inghilterra, Europa, Stati Uniti.
Nel 1962 torna a Stratford-upon-Avon, dove nacque, visse e morì W.Shakespeare, per aderire alla rinnovata Royal Shakespeare Company, dove dirigerà molte produzioni innovative nel corso degli anni sessanta. E’ stato anche direttore della London’s Royal Opera House (1947-1950).
Peter Brook non ottiene gratificazioni dalle regie cinematografiche, come invece per il teatro. Per il cinema egli vuole mostrare allo spettatore le realtà della vita. Dopo The beggar’s opera (1953, Il masnadiero) trasposizione cinematografica del testo teatrale di J. Gay, realizza Moderato cantabile (1960, Moderato cantabile, storia di uno strano amore), tratto da un romanzo di M. Duras. La macchina da presa capta le emozioni dei due protagonisti (gli attori Jeanne Moreau e Jean-Paul Belmondo), il loro vissuto reale. Particolarmente importanti sono lo spazio e la scelta dei luoghi per le riprese. Così è anche nel successivo film Lord of the flies (1963, Il signore delle mosche), girato su un’isola a sud di Puerto Rico, con attori adolescenti di nazionalità diversa. Tratto da un racconto di W. Golding, il film mostra la crudeltà delle istituzioni umane.
Per il teatro, nel 1964 Peter Brook mette in scena il dramma di Peter Weiss <The persecution and assassination of Jean-Paul Marat as performed by the inmates of the asylum of Charenton underthe direction of the marquis De Sade >. Questo spettacolo esercita una tale influenza sulle scene europee, da modificare gli schemi. Brook ne trae il film omonimo Marat Sade (1966), mostrando il tema <del teatro nel teatro>. La morte di Marat avviene nel manicomio di Charenton eseguita da un gruppo di malati diretti da De Sade.

L’impegno politico di Brook è evidente anche nel successivo Tell Me Lies (1968), la trasposizione de US, in scena teatrale nel 1966. E’ una documentata denuncia delle responsabilità storiche del governo statunitense della guerra in Vietnam. Si riproducono interviste a scrittori, studenti, membri del Parlamento, leader del Black Power. Dopo King Lear (1970), adattamento televisivo del dramma di W.Shakespeare, Brook si dedica a documentari di taglio antropologico e racconta i viaggi compiuti in Iran (Orghast, 1971) e in Africa. Tra il 1976 e il 1979, in Afghanistan, Brook dirige il film Meeting with remarkable men, (Incontri con uomini straordinari) tratto dal racconto di G.I. Gurdjieff sugli incontri dello stesso Gurdjieff con maestri spirituali e idee che formeranno la sua dottrina e il suo insegnamento. Tracce dell’insegnamento di Gurdjieff sono presenti in tutta la riflessione teorica del teatro di Brook. Peter Brook si contraddistingue per aver messo in scena miti, storie e tradizioni di popoli e culture extraeuropee.
Peter Brook sceglie Parigi per lavorare e vivere e nel 1970 fonda il Centre International decréation théatrale, dove, sotto l’influenza di J. Grotowski e del Living Theatre di J. Beck, vengono pertanto sperimentate le possibili applicazioni teatrali di un linguaggio non significante, ma improvvisato e gestualizzato. A partire dalla formazione del CICT (Centre International de Création Téatrale) le due attività cinematografica e teatrale si integrano ancora più strettamente. Con la Tragédie de Carmen (1983) Brook ha realizzato all’interno del teatro Bouffes du Nord tre diverse versioni cinematografiche, una per ciascuna delle tre interpreti alternate nel ruolo della protagonista, utilizzando l’intero spazio del teatro in un unico spazio scenico.
Nel 1989 con The Mahabharata mette in scena una rappresentazione di notevole forza visiva del vasto poema epico. L’antico Mahabharata, poema di Vyasa, è il messaggio spirituale indù più imponente nella storia indù o meglio nella storia mondiale. <L’esperienza teatrale compiuta nelle bidonvilles sudafricane – dichiara Peter Brook – è un esempio prezioso di quanto l’immediato possa portare al teatro. E’ un teatro nato dalla vita, dalla strada, in città che non sono come le altre, ma sono invece le townships, ghetti dell’apartheid>.
Questa dichiarazione in riferimento alla rappresentazione Sizwe Banzi is dead (2006), la seconda delle tre pièces di denuncia che Athol Fugard ha creato con John Kani e Winston Ntshona. Una storia di denuncia politica sull’emarginazione dei neri nelle township del Sudafrica. Siewe Banzi, dopo l’ingiunzione di lasciare il paese in quanto ha il pass scaduto, assume l’identità di un altro derelitto, Robert, trovato per caso morto in strada. Il grande Peter Brook presenta questa tematica scottante con un linguaggio semplice, essenziale e un’ ironia dissacrante. Un teatro primario, quello di Brook, con impeto iconoclasta e un respiro internazionale.
Nel 1998 viene pubblicata Threads of Time Recollections, la prima autobiografia di Peter Brook, edita in italiano nel 2001 con il titolo I fili del tempo. Nel 1989 Brook è stato insignito del Premio Europa per il Teatro.

Nel 2001 Brook realizza una versione cinematografica dello straordinario spettacolo teatrale multietnico Hamlet, che aveva debuttato nel 2000 sempre al teatro Bouffes du Nord di Parigi, dove è attualmente direttore. Nel 2002 Brook dirige il suo settimo e attualmente ultimo film La tragedia di Amleto. Coltiva la capacità di fare a meno di tutto ciò che è superfluo. Questo è quanto comunica anche nella sua rappresentazione di Tierno Bokar, pièce fedelmente tratta dal romanzo
Il saggio di Bandigara. Gli attori indossano stupendi costumi tradizionali africani e maghrebini, si materializzano dal nulla e iniziano a compiere i gesti rituali della preghiera <La perla della perfezione>. Dopo la ripetizione continua della preghiera avviene l’esplosione del conflitto intimamente connesso con la storia del colonialismo francese, dell’intolleranza politica, razziale, religiosa, delle guerre intestine, dell’esilio, di cui la morte del saggio Bokar rappresenta l’emblematico clima drammatico.
Nel 2012-2013 Brook torna in Italia con The suit, nuovo adattamento del celebre Costume, tratto dal racconto di Can Themba e va in scena a Roma, Pistoia, Napoli e Perugia. Durante l’edizione 2013 del Napoli Teatro Festival, Brook presenta in anteprima mondiale uno studio sul personaggio ispirato dal racconto breve di Samuel Beckett Lo spopolatore. Nel 2014 dirige The Valley of Astonishment in scena a Londra, Parigi, New York e in Italia al Teatro Il Funarodi Pistoia e al Teatro Cucinelli di Solomeo (PG). Oltre al suo libro di memorie, di Brook vanno ricordati i tre importanti testi sul teatro: The empty space (1968), The shifting point 1946-1987 (1988), The open door: thoughts on acting and theatre (1993).
Peter Brook ha sposato Natasha Parry, defunta nel 2015 all’età di 84 anni, da cui ha avuto due figli: Irina e Simon, entrambi registi.
Di Judith Maffeis Sala