LIOLA’. L’allegra immoralità di Bellomo del classico di Pirandello

LIOLA’. L’allegra immoralità di Bellomo del classico di Pirandello
Reading Time: 2 minutes

LIOLA’ è una delle opere più conosciute del Maestro di Girgenti Luigi Pirandello. È in scena una rivisitazione divertente e incalzante al Teatro Manzoni di Milano, fino al 24 ottobre, per l’adattamento e la regia dell’agrigentino Francesco Bellomo, con un cast di attori tutti siciliani, a cominciare da Giulio Corso nel ruolo del conteso e donnaiolo, ma dall’animo buono, bel Liolà a Enrico Guarnieri, benestante, ma attempato e impotente zio Simone.

Un cast arricchito da tutte donne, tra intrighi, amore, odio e passione: Caterina Milicchio, Alessandra Ferrara, Margherita Patti, Alessandra Falci, Sara Baccarini, Giorgia Ferrara, Federica Breci. E ancora Nadia Perciabosco nel ruolo di Zia Ninfa e con la partecipazione, sempre intensa, di Emanuela Muni nel ruolo di Zia Croce. Scene e costumi Carlo De Marino. Light designer Giuseppe Filipponio. Musiche Mario D’Alessandro, Roberto Procaccini.

Pirandello scrive Liolà agli inizi del ‘900 traendo spunto dal Fu Mattia pascal e dalla novella La Mosca. Bellomo ambienta invece la vicenda nei primi anni ’40, sempre nella realtà contadina e microcosmica della campagna siciliana, anche se la rappresentazione risulta essere collocata in un tempo sospeso, con dinamiche comunque attuali.

È una storia di relazioni amorose tragiche, ma che Bellomo vuole, riuscendoci, alleggerire, dove il protagonista Liolà è un giovane sciupafemmine che si divide tra l’amore di Tuzza e di Mita, quest’ultima sposata al ricco Zio Simone. La vicenda si intreccia tra brama di ricchezza materiale e passione amorosa con danno, condita di sete di vendetta, le donne aspettano entrambe un figlio da Liolà. A farne le spese sarà proprio lo scanzonato protagonista in un finale che il regista trasforma rispetto a quello scelto da Pirandello, rendendo la drammaturgia incentrata sul dramma passionale più che sulla risoluzione conformista.

Afferma Bellomo: “Se è vero che la gioia di vivere, la spensieratezza della commedia, prevalgono su qualsiasi tipo di complicazione intellettualistica, qui Liolà, il trasgressore delle regole, è l’unico personaggio positivo, mentre gli altri sono interessati, egoisti e gretti. Ma un senso di giustizia lo induce a infrangere le regole della moralità comune spontaneamente, senza rendersene conto. Questa commedia fa ridere, ma non è gioconda, è allegra con cattiveria a spese di tutti”.

Come è leitmotiv dell’opera di Pirandello, che parte dal locale della sua Sicilia per descrivere spaccati di vissuto generali analizzando la dicotomia tra apparire e essere (il doppio, le maschere, burattini e burattinai), Liolà è la mosca bianca, ma non troppo, di una cultura che si nutre di regole fatte proprio per essere infrante, segnando un appena percettibile confine tra ciò che è ritenuto morale e l’immorale. I personaggi si muovono infatti di sotterfugi che diventano quindi uso della convivenza civile e che fanno cultura.  

A vincere, come sempre, è la verità del sentire che supera la convenzione: quella di Liolà nell’accettare la sua doppia paternità e quella di Tuzza, sedotta e umiliata pubblicamente dal protagonista, nel moto di disperazione della sua vendetta finale. Nota di merito al trentenne Giulio Corso, già attore maturo, che recita, danza e canta portando sul palco una caratterizzazione leggiadra, tenera, candida e giocosa di un personaggio, per il senso comune, che pecca di leggerezza e di superficialità, ma con cui il pubblico empatizza in modo del tutto naturale.

Recensione di Lucilla Continenza

www.teatromanzoni.it

www.ildogville.it

.

ildogville.it

ildogville.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *