PANE E LIBERTÀ-GIUSEPPE DI VITTORIO. Su Rai1 la fiction sul grande sindacalista

GIUSEPPE DI VITTORIO. Un Primo maggio, festa dei lavoratori, in una fase storica confusa e che oltre a mettere in pericolo le nostre vite, mette a rischio il lavoro di molti, già reso precario e fin troppo elastico, sfiorito col tempo nella sua accezione più alta della dignità e della passione. In questa giornata tanto cara al mondo, Rai1 ripropone, alle 21.15, Pane e libertà – Giuseppe Di Vittorio, miniserie televisiva su un personaggio che ha fatto la storia d’Italia e del sindacato.
Pane e libertà–Giuseppe Di Vittorio
La miniserie su Giuseppe Di Vittorio (Peppino), diretta da Alberto Negrin, si avvale della recitazione intensa e emozionante di Pierfrancesco Favino.
Di Vittorio è stato il più carismatico segretario generale della CGIL fino alla sua morte avvenuta nel 1957 a 65 anni, per un infarto, dopo un incontro con delegati sindacali. La serie narra della vita leggendaria del sindacalista, senza trasformarla in quella di un supereroe, ma mostrando un uomo sinceramente impegnato e appassionato, partendo dall’infanzia tra i braccianti pugliesi.
Di Vittorio nasce nel 1892 a Cerignola. Dopo la morte del padre, a 8 anni, contribuisce al mantenimento della famiglia come contadino e entra così precocemente in contatto con le difficili condizioni di lavoro del periodo. Sono anni in cui nascono i primi movimenti anarchici e sindacali per i diritti dei lavoratori che porteranno alla fondazione della CGL, poi CGIL, nel 1906, fino alle grandi rivendicazioni e alla ritrovata unità dopo il ventennio fascista.

Il giovane Di Vittorio da semianalfabeta si trasforma nelle sue campagne in un vero rivoluzionario acuto e intelligente, in grado di guidare le lotte dei braccianti. Negrin narra delle tappe formative di un uomo che dal nulla diventa personaggio molto amato. È stato tra i grandi uomini che hanno saputo guidare con lungimiranza e capacità una fase difficilissima per l’Italia compromessa da due guerre mondiali, dal regime e poi da ricostruire più forte e ricca.
Il sindacalista viene riproposto da Favino che evidenzia le sue rinomate capacità di mimesi, come un uomo forte, indomito, volitivo e soprattutto coraggioso, dal grande spessore umano e politico. Di Vittorio è soprattutto un uomo del popolo, mosso da un grande senso del dovere e con la capacità di saper cavalcare i suoi tempi per missione necessaria.
La fiction è un omaggio dovuto al sindacalista, soprattutto ora dove il narcisismo e la voglia di apparire più che il bene comune muovono chi ci guida in una fase tanto complessa.

La miniserie ricorda l’assalto alla Camera del Lavoro di Bari mentre la moglie di Di Vittorio dà alla luce il primo figlio, la morte dei compagni la cui lotta viene duramente repressa dai latifondisti. Seguono la fuga in esilio a Mosca e a Parigi dopo la condanna a 12 anni di carcere dal tribunale fascista, i dissidi con il Partito Comunista e le amicizie con i grandi uomini di sinistra dell’epoca. È il racconto di una vita in movimento e di crescita che non tralascia la vicenda umana come la morte dell’amata moglie Carolina, e l’incontro con Anita, sua compagna fino alla precoce dipartita.
Con Favino recitano Raffaella Rea, Giuseppe Zeno, Federica De Cola, Danilo Nigrelli, Antonio Della Mura, Massimo Wertmüller, Emilio Bonucci, Ernesto Mahieux, Frank Crudele, Francesco Salvi. La musica di Ennio Morricone arricchisce la miniserie.
Giuseppe Di Vittorio, sindacalista dei fatti
Di Vittorio è stato un sindacalista rivoluzionario e membro dell’Assemblea Costituente. A lui si devono infatti la stesura conclusiva dell’articolo 40, che tratta il diritto di sciopero, e dell’articolo 39 riguardo al rapporto tra la libertà di associazione e la nascita dei contratti collettivi. Si tratta di principi alla base fondante dello Statuto dei Lavoratori, firmato dopo anni di lotte sindacali e di morti, solo nel 1970, (lex 20 maggio 1970) ma smantellato dagli ultimi governi.

Al sindacalista va il merito di aver dedicato tutta la vita alla causa dei lavoratori. Firmatario del Patto di unità sindacale di Roma del 1944 con Achille Grandi per i democristiani e Emilio Canevari per i socialisti, diventa segretario generale della Cgil unitaria e poi, dopo la scissione, della Cgil fino alla sua morte. Tra le sue innumerevoli iniziative, va ricordato il Piano per il lavoro, del 1949. Nel 1953 viene eletto presidente della FSM (Federazione Sindacale Mondiale).
La sua adesione agli ideali comunisti si è sempre contraddistinta da una totale autonomia, che ha il suo momento più noto nella condanna decisa della feroce repressione sovietica in Ungheria nel 1956. Un altro punto fermo del suo pensiero è il rifiuto della violenza nelle lotte di massa e nell’azione del movimento sindacale, convinto che in Democrazia i lavoratori abbiano gli strumenti per allargare la loro influenza sugli altri ceti della popolazione.
Ha ammesso pubblicamente gli sbagli dell’organizzazione che dirigeva. Resta memorabile il discorso al comitato direttivo della CGIL dell’aprile del 1955, dopo la sconfitta alle elezioni dei rappresentanti dei lavoratori alla Fiat, e nelle grandi aziende del triangolo industriale.
Di Lucilla Continenza