MEMORIE DI UN ASSASSINO. Il capolavoro di BONG Joon-ho, (2003), da domani al cinema

MEMORIE DI UN ASSASSINO, il capolavoro del 2003 del regista BONG Joon-ho (premio oscar 2020 per Parasite), sulla scia del successo a Hollywood, sarà nelle sale italiane domani 13 febbraio. È per il regista coreano una prova di cinema eccelso, sempre ambientato nella sua patria la Corea del Sud. Questa volta nel lontano 1986, quando la Repubblica di Corea non era un paese tecnologicamente all’avanguardia. Il film è distribuito da Academy Two.
Memorie di un assassino: una storia vera resa in tutta il suo realismo
Il film è tratto da fatti realmente accaduti in Corea, e che ai tempi suscitarono notevole scalpore nell’ opinione pubblica del paese. Siamo in una piccolo villaggio nel 1986, un villaggio tranquillo e arretrato, di campagna. La vita degli abitanti viene stravolta da una strana serie di assassinii di donne prima violentate in uno dei tanti luoghi senza illuminazione che si è costretti a percorrere.

Un thriller avvincente
Memorie di un assassino è quindi un’avvincente thriller, umano e senza effetti speciali o retorica. È tratto da un’accurata ricerca fatta dal regista che mostra allo spettatore i limiti del lavoro della polizia di anni in cui non c’erano ancora le analisi di laboratorio sofisticate. Si narra di anni in cui, gli investigatori, a causa dei pochi mezzi, potevano fare affidamento solo su loro stessi e sulla loro esperienza.

Protagosti del film sono i poliziotti che lavorano nel distretto del villaggio. Sono poliziotti locali, brutali e impreparati, che cercano di trovare il serial killer, anche con mezzi poco ortodossi e condannabili. A loro si aggiunge un terzo detective che arriva da Seul che seguendo una serie di intuizioni riesce forse a trovare l’assassino, ma non la prova schiacciante. L’indagine vera si svolge nel corso di 5 anni fino al 1991, in un raggio di 2 km vengono trovate infatti morte 10 donne di diverse età, ma nessuna prova o indizio valido. Ancora oggi nessuno è stato condannato, anche se nel 2019 le indagini hanno avuto una svolta grazie a tecnologie sempre più sofisticate.

Bong Joon-ho: il riso amaro dell’impotenza
Il fim mostra una realistica fotografia della Corea degli anni ’80, con vestiti dell’epoca, macchine, e un tipico distretto di polizia antiquato e dove ci si muove alla meno peggio.

A causa del succedersi dei delitti viene creata una squadra investigativa speciale, guidata dal sergente KOO Hee-bong (BYUN Hee-bong), e composta dai detective PARK Doo-man (SONG Kang-ho) e CHO Yong-koo (KIM Rwe-ha), nativi della zona, e da SEO Taeyoon (KIM Sang-Kyung), il detective di Seul.
L’investigatore Park è un uomo che utilizza mezzi brutali per abitudine, ma dal cuore buono, non manca di istinto e di intelligenza, anche se cede a volte alla superstizione. Ottima la recitazione di Kang- ho, un attore molto apprezzato in Corea, realistica sia per cinismo che umanità, che per arguzia e a volte per goffaggine. Cosa che suscita nel pubblico ilarità. Come afferma Park nel film: “Per capire chi è l’assassino mi basta guardarlo solo negli occhi”.
Di tutt’altra scuola è invece Seo investigatore di città, che segue il ragionamento e si avvicina molto al vero assassino. È interpretato da il più elegante KIM Rwe-ha, ma sempre poliziotto combattivo che lavora con passione.

Memorie di un assassino: l’impotenza e la mortificazione
Il regista evidenzia i sentimenti degli investigatori che si trovano a dover risolvere un caso di fatto impossibile e che li mortifica terribilmente. Il film di fatto è un capolavoro per la ricostruzione storica che fa capire allo spettatore che gli eroi a volte sono semplici persone che svolgono il loro lavoro al meglio. La situazione di arretratezza lascia gli investigatori smarriti, impotenti e rabbiosi. A questo si aggiunge il fatto che il killer forse è stato identificato e colpirà ancora. Senza prove le soluzioni possono però essere solo due.

È un film che va a scavare con sincerità e lo fa anche mostrando momenti di ironia e ilarità. Lo spettatore prova una forte empatia con i protagonisti, come la sensazione che a volte farsi giustizia da soli sarebbe l’unica soluzione. La morale, la legge e la percentuale di errore non possono rendere però un uomo assassino. L’impotenza lascia un forte senso di umana frustrazione a cui l’unica soluzione è forzarsi all’oblio, ma non alla storicizzazione. Afferma infatti lo stesso ispettore, vero protagonista della vicenda e ora in pensione, di conservare ancora copia della documentazione del caso, che a volte gli capita di rileggere. Probabilmente non sarà mai in grado di gettarla via e di dimenticare.
Di Lucilla Continenza