Clint Eastwood e il suo RICHARD JEWELL. Quando i media distruggono un eroe

RICHARD JEWELL, l’ultima opera di Clint Eastwood, è in questi giorni nelle sale cinematografiche italiane. È la vera storia di un eroe, interpretato da Paul Walter Hauser, che ho avuto la fortuna di approfondire nella proiezione, del grande regista americano, al cinema Modernissimo di Napoli. Richard Jewell è un prototipo di eroe che non rientra nei canoni classici. Se si pensa ad un eroe, siamo infatti abituati a immaginare una persona con un fisico prestante, muscoloso, scattante. Il protagonista del film è l’esatto opposto: grasso, insicuro e imbranato.
Clint Eastwood attinge dalla realtà trasformadola in Cinema
Il protagonista del film di Clint Eastwood è una personaggio realmente esistito diventato prima eroe nazionale e poi gettato alla “gogna mediatica“. È un ragazzo di 30 anni semplice, dedito al lavoro di sorvegliante che svolge in maniere attenta e precisa. Condivide la propria esistenza con la madre. Diventa famoso per aver salvato molte persone facendo evacuare l’area dove si celebravano le Olimpiadi estive del 1996 ad Atlanta in seguito al ritrovamento di uno zaino contenente tre bombe. Inizialmente incoronato come un eroe dai mass media e amato da tutti passa, dopo solo tre giorni, ad essere considerato un sospettato dell’attentato. Sospetti che cadranno solo molti anni dopo.

La triste vicenda termina infatti nel 2006 quando viene finalmente scoperto il vero artefice dell’attentato, Eric Rudolph.
Una forte e giusta critica verso i media
Questo bellissimo film dimostra in maniera efficace come i mass media siano pronti a creare eroi e a distruggerli in poco tempo. Clint Eastwood muove una critica contro il mondo dei mass media americani che è spietato e non ha limiti nell’entrare in maniera violenta, ma anche sottile nella vita della gente. L’esistenza del vigilante, a causa del sospetto di essere colpevole dell’attentato, viene stravolta. Cosa che coinvolge anche la madre. I due infatti perdono qualsiasi privacy e l’F.B.I indaga su qualsiasi oggetto in loro possesso violando la loro intimità che finisce sotto le luci spietate dei riflettori.

Clint Eastwood crede nella Legge ma non in chi la rappresenta. Watson Bryant, avvocato di Jewell (Sam Rockwell) infatti parla al suo posto dicendo che gli “stronzi” che lavorano all’F.B.I non sono lo Stato, riferendosi ai tre personaggi che cercano prove contro il protagonista. Il poliziotto di Danville interpreta alla lettera la Legge e la applica in maniera ottusa. Legge che non rappresenta l’America ma che è corrotta, violenta e insensata.
A rendere complicata l’esistenza di Jewell c’è anche un agente viscido dell’F.B.I (interpretato da Jon Hamm) e una giornalista senza scrupoli (l’attrice Olivia Wilde). Il primo capisce che Jewell è innocente ma continua nella sua accusa perché deve trovare un responsabile dell’accaduto. La giornalista sembra in qualche modo pentirsi di aver diffuso il sospetto macchiando il giovane eroe dell’attentato.

Straordinaria Kathy Bates, candidata all’Oscar per l’interpretazione della mamma di Richard. Grande prova di recitazione è il discorso commovente alla fine del film quando il livello di tensione esplode in un pianto disperato.
La potenza dell’emotività
In questo film l’elemento emotivo è molto forte e trova il suo culmine nel pianto liberatorio di Richard quando, finalmente, cade ogni sospetto su di lui per mancanza di prove. Ottimo l’attore che interpreta l’avvocato difensore del protagonista. Pur essendo Jewell una persona bullizzata per il suo aspetto fisico, l’avvocato è l’unico a considerarlo come persona e non come un soggetto da deridere.

Una tirata di orecchi va fatta, a mio avviso, al regista. C’è un momento durante il film in cui si mette a nudo la vita del protagonista e si presume che possa avere una relazione omosessuale solo perché ha un amico gay. Jewell ci tiene molto che venga ripulita la propria immagine da questa possibilità. Questa scena si ripete due volte nel film in maniera da stimolare il pubblico alla risata. Jewell sembra preoccuparsi più di non essere considerato omosessuale che assassino. Da omosessuale ho trovato questa narrazione fastidiosa.
Il film sarebbe perfetto, ma queste battute lo hanno ridimensionato facendo diminuire il mio entusiasmo. Essendo un film basato su una storia vera è anche possibile che il regista abbia semplicemente espresso un tabù del protagonista, ma che poteva essere evidenziato diversamente.
Di Marco Iannaccone/ Scarlet Lovejoy