IN PIEDI NEL CAOS. All’Elfo di Milano l’ultimo pugno nello stomaco di De Capitani

IN PIEDI NEL CAOS. L’ultima “fatica” di Elio De capitani è in scena all’Elfo Puccini di Milano fino al 2 febbraio. Si tratta di una prima nazionale “bella e tosta”, come commentato anche dal pubblico. In piedi nel Caos è uno spettacolo tratto da un testo di Vèronique Olmi. In scena recitano Angelo Di Genio, dalla notevole presenza scenica; Cristina Crippa, storica artista dell’Elfo; la giovane e talentuosa Carolina Cametti e Marco Bonadei, asciutto ed essenziale. La pièce è un’interessante e coraggiosa produzione dello stesso Elfo. Trasporta lo spettatore nella Russia post caduta del muro di Berlino, durante il periodo del conflitto con la Cecenia. È una condanna alle barbaria della guerra e agli squilibri che provoca nella vita delle persone.
In piedi nel caos: sinossi
Siamo a Mosca nel 1995, in una” kommunalka”, dove i muri sono sottili e tra vicini c’è un’intimità obbligata. L’URSS non esiste più. A capo della giovane Federazione russa c’è Boris Eltsin, presidente conosciuto più per la passione per la vodka che per lungimiranza politica. Katia (Cametti) è una bella e giovane sposa dai lunghi capelli scuri, dalla carnagione perlacea con ancora voglia di vivere e di sentirsi donna, in tutti i sensi. Yuri, il suo tenebroso marito (emozionante Di Genio in un ruolo di forte disagio e rabbia) , è appena tornato dal fronte ceceno, con una gamba in cancrena. È un uomo in crisi esistenziale, quasi sconfitto dalla depressione e dall’alcolismo a cui si sta lentamente abbandonando.
Nella grande casa condivisa, dove c’è poca intimità, ma anche solidarietà e confronto, vivono Babuska, (sempre intensa Crippa dalla voce roca e cruda), ex aristocratica, mandata in Siberia dai bolscevichi. Per vivere la donna vende in strada i libri della sua biblioteca. Ci sono poi il vecchio padre di Yuri, una presenza solo evocata, malato e di cui la giovane Katia si prende cura e una coppia misteriosa anche in questo caso solo evocata. Nell’abitazione vive infine Grisha (Bonadei) un giovane punk, invaghito di Katia che traffica tra mercato nero, droga e prostituzione. Grisha riceve la fatidica cartolina di chiamata in guerra.
Katia cerca disperatamente di mantenere un atteggiamento fiducioso, anche se tutto è contro. Soprattutto vuole salvare il suo matrimonio e Yuri dal tunnel di apatia in cui e caduto. La guerra, seppur lontana, è lo scenario che condiziona la vita dei protagonisti. Per la giovane donna la sua esistenza è semplicemente la sua famiglia, il marito, vita che la guerra sta distruggendo.
Amor di patria e amor di vita
De Capitani non tradisce il suo modo di fare e vivere il teatro, come analisi cruda, ma paradossalmente poetica proprio nella sua fedeltà alla realtà passata e presente, prendendo spunto da fatti storici. La bellezza e il coraggio del lavoro del regista sta nel portare in scena gli effetti del Sistema che condizionano le nostre vite, un Sistema che può anche essere frutto di scelte di pancia, ma che poi diventa incontrollabile entità autonoma con regole che spesso vanno alla deriva. In questo testo si affronta un tema spinoso che è quello della guerra, che nel ricordo del protagonista è spietata, sporca, che vissuta è priva di senso.
Yuri infatti nasconde un segreto, che è la causa della sua gamba in cancrena che lo ha riportato a casa. Il trauma è però quasi impossibile da superare. Katia troverà conforto tra le braccia, e non solo, di Grisha, cercando in quel contatto il marito di un tempo.
È difficile trovare un equilibrio nel caos, ma si deve restare in piedi, senza lasciarsi travolgere dalle circostanze. Donare anche una nuova vita, a un mondo (quello della quotidianità dei protagonisti) che sa di morte.
In piedi nel caos: “bello e tosto”
È uno spettacolo “bello e tosto”. È un messaggio schietto e diretto quello di De Capitani, dove la potenza della recitazione dei protagonisti è il punto di forza, che non sfocia mai nel recitato della tragedia, ma diventa naturale grido di dolore. La scena e i costumi di Carlo Sala rendono l’idea di una esistenza come tante nella Russia di quegli anni. Nella semplicità in cui è presentata Katia traspare la sensualità di una giovane donna dell’est. Anche le luci di Nando Frigerio, che seguono il ritmo del tempo e dello stato d’animo, accompagnate dalle musiche punk e potenti di Giuseppe Marzoli, evidenziano la potenza del dramma, e la contestualizzazione storica.
Come afferma De Capitani: “Quasi un mese di prove e ne è scaturito uno spettacolo di impressionante forza, sia visiva che emotiva, sia fisica che dei sentimenti”. L’obiettivo è centrato senza la retorica della guerra, ma attraverso la narrazione del sentire. È un modo efficace e che coinvolge completamente lo spettatore. È un pugno nello stomaco forte e diretto, per intelligenze che sanno decostruire e vedere i fatti dalla parte giusta. Parte che è sempre quella dell’individuo che esiste, ma che lotta ogni giorno per vivere.
Recensione di Lucilla Continenza