DON CHISCIOTTE. Boni e Yilmaz e il sogno del cavaliere con “l’umano” Ronzinante

DON CHISCIOTTE. Boni e Yilmaz e il sogno del cavaliere con “l’umano” Ronzinante
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Don Chisciotte, paladino della giustizia, della verità e della follia (perché per realizzare i sogni ci vuole un po’ di follia) ha fatto tappa al teatro Manzoni di Monza, ulteriore appuntamento della Grande Prosa. A interpretare l’eccentrico e puro paladino, il sempre impeccabile Alessio Boni. È una scelta da vero attore per Boni, in panni che lo spettatore non è abituato a vedere. Lo spettacolo, andato in scena qualche giorna fa, si avvale anche dell’interpretazione di una delle attrici preferite di  Özpetek: Serra Yilmaz. Anche Yilmaz è in una veste insolita. Interpreta infatti un uomo: il fidato Sancho Panza, convincente servitore dai capelli blu elettrico.

Don Chisciotte

L’adattamento di Don Chisciotte è di Francesco Niccolini. La drammaturgia è firmata da: Roberto AldorasiAlessio BoniMarcello Prayer e Francesco Niccolini.

Con Boni e Yilmaz, recitano: Marcello PrayerFrancesco MeoniPietro FaiellaLiliana MassariElena Nico. La regia è dello stesso Boni, con Roberto Aldorasi e Marcello Prayer.

Lo spettacolo è una onirica, ironica, evocativa e tratta “liberamente dal testo“, rivisitazione dell’opera di Cervantes.

Don Chisciotte: paladino della giustizia e della purezza

Lo spettatore entra già dalla prima scena ai tempi del regno di Filppo III di Spagna. Una stanza semplice con un letto in legno a baldacchino, dove riposa Don Chisciotte, febbricitante, accudito dai suoi famigliari. È un personaggio particolare e un po’ matto, convinto di essere una gran cavaliere errante e che nonostante la morte (vestita di nero e con la falce) sia vicina al suo letto, si risveglia dal suo torpore e fugge via al “trotto” del suo fedele cavallo Ronzinante.

Don Chisciotte

Don Chisciotte parte alla ricerca della sua Dulcinea rapita e nascosta dal megero Sacripante. È un delirio, un viaggio che Don Alonso Chisciano deve fare per divenire Don Chisciotte, cavaliere puro e errante, prima che la sua grande battaglia (la vita) sia finita. La scena, essenziale, in continuo movimento, mai statica, aiuta a sintetizzare le avventure erranti del folle e tenero cavaliere, descritte in una delle pietre miliari della storia della letteratura.

La lucida follia di Boni, l’ironia disarmante di Yilmaz e l’emozionante “umanità” di Ronzinante

Boni è ingenuo e al contempo pericoloso Don Chisciotte mentre cavalca il suo fedele ronzino, squisitamente accompagnato da Sancho servitore che lo segue nella sua follia per fuggire da una vita di lavoro e monotonia. Sancho lo accontenta fino alla fine. Lo asseconda anche se il nostro cavaliere, del bene, confonde mulini con mostri, crea problemi in nome di principi di giustizia, è preso in giro da nobili che ridono della sua ingenua follia. Sconfitto allontana il suo Ronzinante (mosso da un bravissimo Nicolò Diana). Un cavaliere sconfitto non deve più cavalcare!

Don Chisciotte

Commovente e topica la scena in cui Ronzinante, che ha movenze naturali nelle espressioni, si rifiuta di lasciare solo il suo padrone, perso e stanco. Un cavallo finto, di scena, ma dallo sguardo e dai movimenti facciali talmente reali da risultare il più vero dei personaggi, che sul palco ricordano dei pupi che si muovono senza fili.

Don Chisciotte la lucidità della follia e la verità del sogno

Il Don Chisciotte di Boni, grazie a tutti i componenti dello spettacolo, esprime bene il messaggio amletico del dubbio, della dicotomia tra follia e ragione. È una dicotomia antropologicamente tutta occidentale, dove è già deciso culturalmente cosa è bene e cosa è il male, il savio e il folle. Ma chi è realmente folle? Quanta follia c’è nella lucidita? E quanta lucidità c’è nella follia? Siamo realmente in grado di etichettare o sarebbe più saggio accettarsi nel doppio che caratterizza la natura umana? È giusto etichettare, o è la nostra inconsapevole rovina?

Boni, in questa veste, ci dimostra che non esiste ricetta. Lo fa con la sua stessa recitazione, (tra i più bravi attori italiani). Si cala totalmente nella parte del puro cavaliere errante utilizzando un tono un po’ sopra le righe e la lucidità di chi sa come muoversi sul palco. Non stona mai in un ruolo tanto difficile, non cade nella macchietta e nel grottesco. Si circoscrive dentro una lucida follia. Yilmaz, con il suo accento turco, la sua fisicità e quel disincanto ironico, che ritroviamo anche nei ruoli che interpreta per Özpetek, è spalla perfetta. Sancho cavalca con tenera leggerezza il suo finto somaro, alla ricerca dell’isola che non c’è. Asseconda il protagonista e impara a volergli bene. Sancho nonostante il suo pragmatismo contadino è in fondo un inguaribile sognatore.

Il messaggio nelle note di regia

È necessario allora riportare le note di regia per capire meglio il messaggio che in questa pièce viene raffinatamente rappresentato: “Chi è pazzo? Chi è normale? Forse chi vive nella sua lucida follia riesce ancora a compiere atti eroici. Forse ci vuole una qualche forma di follia, ancor più che il coraggio, per compiere atti eroici. La lucida follia è quella che ti permette di sospendere, per un eterno istante, il senso del limite: quel “so che dobbiamo morire” (…) L’uomo lo sa ed è, in ogni istante, vita e morte insieme. Emblematico in questo è Amleto, coevo di Don Chisciotte, che si chiede: chi vorrebbe faticare, soffrire, lavorare indegnamente, assistere all’insolenza dei potenti, alle premiazioni degli indegni sui meritevoli, se tanto la fine è morire? Don Chisciotte va oltre: trascende questa consapevolezza e combatte per un ideale etico, eroico. Un ideale che arricchisce di valore ogni gesto quotidiano. E che, involontariamente, l’ha reso immortale”. 

È un Don Chisciotte dedicato a tutti quei folli che sono andati contro i mulini a vento e che se pure non hanno vinto, si sono “fatti sentire”, lasciando un segno.

Di Lucilla Continenza

Teatro Manzoni di Monza

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