GIOVENTÙ SENZA. La nuova speranza nei ragazzi dei Filodrammatici di Milano

GIOVENTÙ SENZA. La nuova speranza nei ragazzi dei Filodrammatici di Milano
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GIOVENTÙ SENZA: Una nuova speranza. Prendo in prestito il titolo di Star Wars – Ep. IV perché è con questa sensazione che si esce dal Teatro dei Filodrammatici dopo aver visto Gioventù senza (il saggio degli allievi dell’ultimo biennio). È appunto una nuova speranza, per il Teatro e per il futuro in generale. Sì, perché lo spettacolo, scritto da Bruno Fornasari, diretto da Emiliano Bronzino, sul palco anche Tommaso Amadio, mette in scena due tipi di gioventù. Parla di quella del Teatro italiano che si affaccia per la prima volta sul mondo professionale e quella italiana e basta, che si muove e condanna un mondo di cui non possiamo andare fieri e che siamo noi a dover cercare di cambiare. Il testo della rappresentazione è tratto dal romanzo Gioventù senza Dio di Von Horváth.

Tommaso Amadio
Tommaso Amadio

In un mondo senza speranza, una nuova speranza?

Nella drammaturgia, le cose, però, nonostante gli sforzi, in apparenza non cambiano. La Storia non insegna e i neodiplomati della Filodrammatici ce lo dicono subito: con l’escamotage drammaturgico di mettere in scena da attori, usando i loro veri nomi, una vicenda di una delle pagine più brutte della storia umana. Si narrano le vicende del romanzo come se fossero davvero accadute nel ‘34. È l’anno in cui il nazismo conquista il potere dopo l’incendio del Reichstag.

Nella rivisitazione i ragazzi provano a cambiare le carte in tavola, facendo interpretare il preside della scuola a una donna e l’alunno che odia i negri a un nero, ma sono loro stessi a dire, subito dopo: “Siamo proprio sicuri che le cose sono cambiate?”

Fornasari e Bronzino e i “loro” ragazzi del ’34 (solidali, consapevoli e accusatori)

Da qui parte il racconto. I giovani attori sono chiamati ad entrare e uscire continuamente dalla storia per cambiare personaggio e per narrare al pubblico, attraverso le didascalie, quello che stiamo vedendo dei fatti del ’34. È un esperimento riuscito, quello del regista. Bronzino, avendo lavorato anche con Ronconi, sa bene come si usa la terza persona in Teatro. Permette infatti ad attori e pubblico di giocare insieme, di mantenere la sospensione dell’incredulità e al contempo di uscire un attimo dalla situazione teatrale. Ci si rende quindi conto che tutto quello che stiamo vedendo, purtroppo, è più attuale che mai. Certe frasi o eventi di cronaca, di quando il nazismo prese i voti e anche il cuore dei tedeschi, non sono diversi da certi post su Facebook o certi fatti a cui assistiamo oggi.

Dicevo “speranza”: sì, perché Fornasari e Bronzino capovolgono la situazione anche non utilizzando il punto di vista del Professore (Amadio, altro tocco metateatrale essendo davvero un insegnante dell’Accademia). Nel romanzo l’insegnante guarda con sgomento i giovani del ‘34 che si preparano a essere soldati del domani, ma il punto di vista è quello dei giovani di oggi che guardano con altrettanto sgomento la classe del ‘34, Professore compreso, trattato da vittima ma anche da carnefice. È uno dei tanti che non si è impegnato davvero per far cambiare le cose quando avrebbe dovuto, prima che fosse troppo tardi.

Gioventù senza

Gioventù senza: lavoro di qualità e consapevolezza sociale

I giovani allievi appena diplomati sono tutti molto bravi. Dimostrano un’ottima capacità tecnica saltando facilmente da prima a terza persona, da azione a narrazione. È questo un lavoro non facile per un attore. Inoltre il lavoro registico di Bronzino, improntato sul ritmo, sulla musicalità, sulla parola, sulla coralità, sull’essere spesso un unico corpo e un’unica voce, è sostenuto “alla grande” dai ragazzi, pieni di energia e di voglia di fare. Le attrici sono bravissime, soprattutto Francesca Macci, mentre fra gli uomini spicca l’inquietante “T” di Marco Fragnelli. Tutti in generale sono promossi a pieni voti.

Gioventù senza

Unica pecca, forse è il finale. Fornasari spezza definitivamente la magia scrivendo una scena in cui gli attori escono per l’ultima volta dalla Storia dichiarando che no, le cose non cambieranno mai. Anche se per quelle due ore ci abbiamo creduto, alla fine i ragazzi e il pubblico devono tornare a WhatsApp, Amazon, Zalando, al consumismo e all’indifferenza.

È una critica forse superflua perché il messaggio arrivava già chiaramente durante lo spettacolo, fin dall’inizio addirittura. Fornasari ha voluto inserire “la morale”. Il pubblico l’accetta con un sorriso. C’è da sottolineare però che solo per il fatto che venga fatto osservare da dei ragazzi consapevoli, che la storia spesso si ripete nei suoi significati, allora la speranza non è definitivamente morta.

Ciò che conta è uscire da Teatro con una consapevolezza in più. Uscire con un pensiero critico in più. La speranza è che questi giovani attori possano fare bene non solo al nostro Teatro, ma soprattutto al nostro mondo.

Lo spettacolo è andato in scena da 14 al 24 novembre, ma sarà in tournée in altre città italiane.

Di Claudio Pellerito

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